sabato 8 gennaio 2011

Sull'estremismo di Silvio Berlusconi: un passo indietro al 2003

Dopo questa lunga interruzione, riprendiamo l’analisi che siamo andati sviluppando in questo blog sul berlusconismo e l’attuale situazione politica italiana.
Nel prossimo post presenteremo una ricapitolazione sistematica dell’argomentazione svolta finora e delle conclusioni  a cui questa conduce in merito alle scelte sul prossimo futuro.
Come premessa a questa ricapitolazione, ripropongo qui sotto il breve documento “Dieci tesi in materia di giustizia, libertà e democrazia” che lo scrivente fece circolare nel 2003 all’interno del Laboratorio per la Democrazia, il gruppo dei “professori di Firenze” animato all’epoca da Paul Ginsborg e Pancho Pardi. Il contenuto di questo documento è in massima parte ancor oggi valido, rilevante e, purtroppo, tutt’altro che scontato.
 Tanto è vero che le tesi no. 1, 2, 3, 4, 5 e 7 sono state già argomentate in questo blog (vedi i post del 17 e 24 ottobre, 2 novembre, 18 dicembre), quelle no. 6, 8 e 10 lo saranno all’occorrenza, mentre la tesi no. 9, di cruciale importanza per il futuro del nostro assetto costituzionale, è stata fatta propria di lì a pochi anni dal Partito Democratico: che purtroppo, tuttavia, non ha agito di conseguenza, modificando l’art. 138 quando avrebbe avuto l’opportunità di farlo.
Un’ultima osservazione preliminare. Sollevò qualche obiezione, all’interno del LabDem, il fatto che, nella tesi no.1, il progetto politico neo-autoritario fosse attribuito solo a Berlusconi e Fini, non a Bossi. E’ una tesi che ribadisco. Il progetto politico di Bossi è radicalmente distinto da quello di Berlusconi e ha avuto origini e radici profondamente diverse, anche se è (quasi) perfettamente compatibile con esso. Ritengo che sia stato un grave errore del centro-sinistra quello di additare per anni nel leghismo il più grave pericolo per questo paese, arrivando a sostenere non di rado che la macchia più grave di Berlusconi fosse la sua alleanza con Bossi, quando è vero, semmai, proprio il contrario. Ma su questo avremo occasione di ritornare. Quanto a Fini, ho già indicato (nel post del 6 dicembre) che sembra proprio aver cambiato idea.


                                       Dieci tesi

                           in materia di giustizia, libertà e democrazia

1.      Berlusconi e Fini stanno attuando un progetto articolato e preciso che mira ad assoggettare l’intero sistema politico italiano ad un unico centro di potere potenzialmente inamovibile. Questo progetto politico prevede l’introduzione di nuove architetture istituzionali che consentano di sottoporre al controllo del potere esecutivo tanto gli altri poteri dello stato (legislativo e giudiziario) quanto quei poteri di ordine para-istituzionale o extra istituzionale che possono concorrere a determinare l’assetto del sistema politico, il potere mediatico innanzitutto.

2.      In un sistema politico contemporaneo, la separazione del potere mediatico dal potere politico è altrettanto essenziale che la separazione del potere giudiziario.

3.      Se il potere legislativo, il potere giudiziario e il potere mediatico venissero ricondotti sotto il pieno controllo del potere esecutivo, il sistema politico italiano uscirebbe dal quadro di uno stato di diritto, poiché il potere non sarebbe più sottoposto alla legge, ma potrebbe piegarla ai propri interessi.

4.      Non c’è democrazia senza stato di diritto. In altre parole: non basta che si tengano libere elezioni perché esista la democrazia. Se chi ottiene, anche con mezzi democratici, il potere può poi esercitarlo senza vincoli e costruire la propria inamovibilità, allora non c’è democrazia. E dove non c’è democrazia è difficile che ci sia la libertà.

5.      Questo è il pericolo che corre oggi l’Italia: se non possiamo parlare di regime autoritario è solo perché questo disegno non si è ancora realizzato in pieno. Ma siamo sulla buona strada. La lunga serie di provvedimenti sulla giustizia è solo un anello della catena che si prepara ad incatenare il paese.

6.      Pur collocandosi al di fuori del quadro della democrazia, il quadro istituzionale che si delinea non ha il profilo di un regime totalitario, non è cioè portatore di una specifica fede, di una particolare visione del mondo che si proponga di sopprimere le altre. Si tratta piuttosto di una architettura che si può definire neo-autoritaria, in cui un potere monocratico può convivere con il pluralismo formale. Il neo-autoritarismo, inoltre, preferisce alla violenza più sottili sistemi di condizionamento.

7.      In questa prospettiva occorre sottolineare che il progetto neo-autoritario potrebbe essere realizzato anche in assenza di un formale conflitto d’interessi sul controllo dei media: un sistema televisivo interamente privato nelle mani di sostenitori di questo disegno, oppure un sistema televisivo pubblico interamente assoggettato all’esecutivo, o qualsiasi combinazione delle due cose otterrebbero lo stesso risultato di distruggere il diritto all’informazione e di rendere impossibile l’alternanza.

8.      La nostra Costituzione contiene un sistema di principi che va complessivamente salvaguardato da ogni modifica che possa favorire la realizzazione del progetto in questione. Sia la repubblica presidenziale  che qualsiasi ulteriore rafforzamento dell’esecutivo sarebbero attualmente funzionali a tale progetto. Tali proposte vanno combattute con la massima determinazione.

9.       Allo stesso tempo occorre riconoscere che gli strumenti di salvaguardia dello stato di diritto e della democrazia previsti dalla Costituzione in vigore si stanno rivelando, davanti a questo disegno, insufficienti. Particolarmente  debole appare ad esempio il meccanismo di revisione costituzionale previsto dall’art. 138, che lascia alla mercé di una maggioranza parlamentare (che in regime maggioritario può rappresentare, come oggi, una minoranza del paese) l’intero apparato delle garanzie costituzionali. In questa luce appare sbagliato e pericoloso perseverare in modifiche costituzionali a maggioranza semplice, come è purtroppo accaduto per il Titolo V.

10. In considerazione di questa strategia autoritaria, di cui la mancata risoluzione del conflitto di interessi è il sintomo più evidente, nessuna riforma istituzionale può essere trattata con questo Governo, che costituisce un autentico pericolo per la democrazia, la giustizia e la libertà.


Firenze, Gennaio 2003

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