venerdì 4 febbraio 2011

Un che di misterioso in Tunisia

C’è qualcosa di misterioso nella vicenda che ha portata alla caduta di Ben Ali in Tunisia. Qualcosa che riguarda anche l’Egitto. Non si tratta delle cause immediate dell’insurrezione, che sono tutt’altro che oscure. Ciò che mi appare misterioso ha a che fare invece con la rappresentazione mediatica della vicenda: è la straordinaria evidenza con cui è stata trattata sui media di tutto il mondo.
Il caso è straordinario in paragone con altre vicende tutt’altro che remote, che furono assai più drammatiche e non meno gravide di conseguenze. Mi riferisco in particolare ad uno dei più grandiosi eccidi del ventesimo secolo al di fuori delle guerre mondiali, quello seguito all’insurrezione algerina del 1991, una carneficina che si protrasse per buona parte degli anni Novanta, causando non meno di 30.000 morti e forse, secondo stime non irrealistiche, addirittura 150.000. In paragone, le vittime dei moti odierni, che si contano nelle decine o centinaia, impallidiscono davvero.
Eppure quel dramma gigantesco passò pressoché inosservato. Basta chiedere in giro chi se ne ricorda. Il fatto è che, almeno in Occidente, fu seppellito da un generale silenzio mediatico. Stragi di centinaia di persone in un solo giorno furono annunciate da trafiletti in nona pagina, come se non avessero la minima rilevanza. Nessuna immagine degli eventi più tragici fu mai trasmessa nei circuiti internazionali. Il dramma algerino si eclissò subito dalle prime pagine e per l’opinione pubblica occidentale si perse nel dimenticatoio.
Le ragioni di quel silenzio erano chiare. Il primo turno delle elezioni era stato vinto dal Fronte Islamico di Salvezza, una coalizione islamista che fu subito classificata terrorista dall’intelligence statunitense. Le forze armate intervennero manu militari, presero il potere e annullarono le elezioni. L’intervento fu fermamente appoggiato dalle cancellerie occidentali, che lo giudicarono un atto inevitabile di guerra al terrorismo. I militari procedettero a sterminare gli oppositori, che reagirono con la violenza, aprendo la strada all’immensa carneficina.
Fu la prima occasione in cui si vide applicato su larga scala il principio che Frattini sta ripetendo con categorica chiarezza in questi giorni: nei paesi musulmani, le elezioni vanno bene solo purché vincano gli amici dell’Occidente. Altrimenti è molto meglio farne a meno. In nome di questo principio, l’Occidente si dimostrò pronto a tollerare, sostenere, incoraggiare perfino, un colossale massacro. Purché di musulmani, naturalmente.
Le conseguenze di quella scelta furono di portata epocale. E’ in nome di quel principio che si sono tollerate, sostenute e incoraggiate le false democrazie che oggi sono messe sotto accusa. E così facendo, si è alimentata in modo formidabile la diffusione dell’estremismo islamico, che forse fa molto comodo a qualcuno dei suoi presunti avversari.
I fatti algerini del ’91 avevano dunque un enorme potenziale d’impatto mediatico, poiché erano non soltanto altamente drammatici, ma anche gravidi di rilevanza per il rapporto fra Occidente e mondo musulmano.
Che si sia riusciti a farli passare quasi sotto silenzio, dimostra in maniera inequivocabile che esistevano centri di potere capaci di influenzare pesantemente la diffusione, la circolazione e l’orientamento dell’informazione a livello planetario. Non vorrei discutere qui la natura di questi centri di potere, che è meno semplice di quanto alcuni suppongono.
L’interrogativo che s’impone oggi, davanti alla formidabile visibilità accordata all’insurrezione maghrebina, è il seguente: si è forse perduta la capacità di quei centri di potere di influire sull’informazione? O c’è qualcuno al loro interno che ha deciso di incoraggiare questa battaglia? Delle due l’una, tertium non datur.
La prima ipotesi, a prima vista, non si può escludere. Se c’è una cosa in cui il mondo di oggi è lontano anni luce da quello del ’91, questa è l’architettura della comunicazione. C’è internet, c’è il satellite, ci sono i cellulari. Ci sono attrezzini che combinano le tre cose. Controllare tutto è diventato più difficile. E’ evidente tuttavia che si illude chi crede che non vi siano centri di potere capaci di condizionare ed eventualmente neutralizzare anche questi nuovi canali. C’è chi controlla Google, c’è chi controlla Twitter, c’è chi controlla Sky.
E’ evidente che c’è qualcuno che ha peso, in quella vasta rete di poteri vecchi e nuovi, che ha scelto di aprire il rubinetto sulla rivolta e lasciare che i teleschermi di tutto il mondo siano inondati dalle sue immagini. E’ questa scelta che ha dato una enorme forza ai movimenti.
Ebbene, questa scelta non può che provenire dall’interno dell’establishment americano. Se vogliamo capire davvero cosa sta succedendo, bisognerebbe capire a chi si riconduce. Negli Stati Uniti, nonostante certe apparenze, è in pieno corso una battaglia contro Obama che si gioca senza esclusione di colpi. Non è facile capire a quale dei due fronti vada attribuita l’iniziativa, poiché entrambi si mostrano oggi piuttosto decisi a sostenere le insurrezioni: basta guardare Fox, il canale di Murdoch, il più conservatore, filo-sionista e anti-obamiano che ci sia. Naturalmente appare più probabile che l’iniziativa sia partita dal fronte obamiano, forse solo da una parte di quel fronte. Ma è difficile dirlo.
Quello che è certo è che con la rivoluzione tunisina si è aperto un capitolo interamente nuovo della storia del Medio Oriente e dell’intero mondo musulmano. Tutti hanno capito che nulla sarà più come prima. Nessuno può prevedere quale sarà il punto d’arrivo di questa epocale trasformazione. Nessuno è in grado di controllarla in pieno. Le opinioni pubbliche dei paesi islamici sono assai più mature e avvedute di quanto si pensi in genere in Occidente. Certamente sono politicamente molto più sofisticate dell’opinione pubblica americana. Quel che in Occidente non si percepisce comunemente è che i musulmani in generale conoscono e capiscono l’Occidente molto meglio di quanto gli occidentali conoscano i musulmani. Per di più è in gioco anche il critico rapporto dell’Occidente con la Cina, che, come ha osservato l’antropologa Maria Paola Volpini nel suo commento al post del 30.1 in questo blog, sembra avere tutte le ragioni per sostenere le insurrezioni.
Ma quello che è in gioco soprattutto in questo momento è una cosa sola: se finalmente sarà consentito agli arabi, e ai musulmani tutti, di prendere in mano il proprio destino. Forse qualcuno più potente di noi ha deciso che è ora di farlo.
Quanto a noi che crediamo nella pace e coltiviamo impavidi il sogno democratico, oggi, davanti alle strade del Cairo in fiamme, davanti all’incendio che sta per divampare dallo Yemen alla Giordania, dall’Algeria alla Libia e forse oltre, non possiamo che nutrire un duplice auspicio: primo, che non prevalga la violenza, che dà sempre ragione al più forte; secondo, che vinca autentica la democrazia. Non la democrazia dei Frattini, non quella specie mascherata di tirannide che ama tanto le elezioni solo se vincono gli amici suoi.

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