giovedì 26 gennaio 2012

Vendola, Hollande e la speranza di uscire dal buio.

“Il potere del capitale finanziario è il mio nemico e lo combatterò con tutte le mie forze.”
Queste parole riportate da un GR mi hanno fatto sobbalzare sul sedile nell’attimo in cui accendevo la radio, verso le sette di domenica mattina.
Chi poteva averle dette? Vendola? Impossibile. Ferrero? Improbabile. Grillo?
Mi stavo ancora interrogando invano, quando l’enigma si è sciolto. Non era Grillo il feroce sovversivo: era François Hollande, candidato socialista alle prossime presidenziali francesi.
Mi stavo appunto accingendo a partire per Roma, in un insano impulso di turismo politico, per andare ad assistere all’assemblea nazionale di Sinistra, Ecologia e Libertà, il partito di Nichi Vendola.
Ho provato a immaginare che cosa succederebbe in Italia ad un politico, per esempio Vendola stesso, che avesse il fegato di pronunciare parole come quelle. Non è difficile indovinare: sarebbe immediatamente bollato di estremismo sovversivo ed emarginato per sempre dall’arena politica nazionale. In Francia, invece, le può pronunciare tranquillamente, e con la certezza di riscuotere molto consenso, il capo della forza che il PD italiano considera il suo naturale alleato nell’area “socialista e democratica” del Parlamento europeo.
C’è qualcosa di preoccupante in tutto questo. Perché il potere della finanza internazionale è proprio il principale problema che incombe di questi tempi sull’Italia: ma non è affatto il principale oggetto del dibattito politico corrente, che preferisce invece concentrarsi su problemi apparentemente più immediati, ma di fatto assai meno decisivi, come il destino dei tassisti o la guerra sull’articolo 18.
Valeva dunque la pena di andare a vedere se Vendola avesse qualcosa da dire in materia.
Ce l’aveva. Tutta la prima parte del suo lungo intervento di apertura, l’ha dedicata proprio a questo tema. Partendo dalla critica alla “tecnocrazia che stempera il calore della democrazia”, ha accusato “il sapere specialistico della finanza” di essere una forma di “sapere metafisico” che pretende di imporre se stesso alla guida del mondo, “la malattia proposta come se fosse la medicina”. E’ vero: l’apparato normativo delirante conferito dal neoliberismo alla finanza è la vera malattia, ma l’unico rimedio che viene proposto è l’applicazione di quell’apparato normativo.
E sono vere anche parecchie altre cose che ha detto: che questa globalizzazione è “una rivoluzione reazionaria” che viene presentata “alla stregua di un fenomeno naturale”, ma mira in realtà a “una sorta di nuovo Ottocento”, in cui siano messi sotto scacco non solo i diritti sociali novecenteschi, ma gli stessi diritti civili fondati dal liberalismo.
Perché, si è chiesto, “i signori delle banche e delle multinazionali” non vengono mai “chiamati a rispondere dalla politica”? Perché “la politica” accetta di stare rinchiusa “dentro il recinto deciso da quattro banchieri”? Qui si impone un’obiezione: contrapporre la “politica” alla “finanza” o alle “banche”, come spesso si usa fare ultimamente, può essere altamente fuorviante. La politica è la sfera delle decisioni che riguardano tutti. Il problema è che ci sono decisioni che riguardano tutti che vengono prese da centri globali di potere politico che sfuggono a qualsiasi forma di controllo democratico. E sono le più importanti decisioni politiche, perché riguardano, in ultima istanza, tutti i paesi del mondo.
Il problema è che, con una contrattazione largamente occulta fra pochi governi e pochi grandissimi potentati privati, è stato costruito un grandioso sistema di regole che organizza la circolazione di tutto il denaro del mondo e di tutte le risorse del mondo in un gigantesco meccanismo che è stato messo in grado di imporre a chiunque le proprie discutibili scelte politiche. Non c’è una contrapposizione fra “politica” e finanza. C’è un confronto in corso fra poteri politici temperatamente democratici, quali quelli degli stati nazionali, e poteri politici radicalmente extra-democratici come quelli che sono all’opera nei mercati finanziari. E il punto è che, mentre gli stati democratici hanno linee politiche instabili, mutevoli, rese fluide e contestabili da quel benefico “calore della democrazia”, questi poteri extra-democratici hanno una linea di politica economica stabile, gelida, graniticamente coerente, che maschera dietro la veste di una pretesa necessità tecnica il suo orientamento ideologico di estrema destra, antiegualitario ed antidemocratico, tutto teso alla protezione del privilegio e alla concentrazione forsennata della ricchezza.
Tutto questo, in verità, non sfugge a Vendola, che infatti ha proseguito il suo discorso chiedendosi: ma “questo capitalismo finanziario è compatibile con la democrazia ?” Poco, purtroppo. Per Vendola, c’è una “destra planetaria”, un “club dell’austerity” che sta provando appunto a “regolare i conti con la democrazia”.
Questa inquietante constatazione è quella che dovrebbe essere il punto di partenza di qualsiasi analisi. Ciò che è sotto attacco in questo frangente storico non è il comunismo, non è il socialismo, non sono nemmeno soltanto i “diritti sociali”, ma sono, proprio come aveva argomentato Vendola, i grandi principi delle rivoluzioni liberali, quali furono portati ad un provvisorio compimento nella seconda metà del Novecento. Non è dunque il sovversivo, non è l’estremista, ma è semplicemente chi crede in quel sogno modesto e possibile, che deve levare la sua bandiera contro questa formidabile minaccia. Donde la virulenza di Hollande.
Ma che fare, dunque? “C’è posto per un pensiero alternativo?” si è chiesto a questo punto Nichi Vendola. E’ qui, naturalmente, che la sua risposta ha lasciato parecchio a desiderare. Ha sostenuto, giustamente, che la politica” (leggi: i governi) può “tagliare gli artigli alla speculazione”; si è chiesto, giustamente, perché non si parli di “regole ai mercati finanziari”; ma l’unica nota concreta in materia è stata la condanna della recente “scandalosa” elargizione di liquidità alle banche da parte della BCE, che in realtà avrebbe in sé poco di scandaloso, se non si accompagnasse al rifiuto di intervenire direttamente sui tassi d’interesse a carico degli stati indebitati acquistandone i titoli, una scelta cruciale che Vendola ha del tutto ignorato.
Il fatto è che indicare la strada concreta per tagliare quegli artigli e dare un nuovo assetto ai mercati finanziari è tanto urgente ed essenziale quanto è arduo e diabolicamente complicato.
Non basta certo “lavorare alla trama dell’Euromediterraneo”, non basta additare il fallimento della balbettante “terza via” a suo tempo vagheggiata da D’Alema, non basta nemmeno indicare la fragile meta di “un mondo multipolare”. Bisogna sì, per restare sulle parole di Vendola, “ripensare il mondo”, bisogna “alzare la bandiera del cosmopolitismo”, bisogna “alzare la bandiera della fraternità”. Ma c’è da indicare cose più concrete. Se è vero che l’assetto neoliberista della finanza mondiale mette in pericolo la nostra prosperità, allora ne consegue, per esempio, che forse bisogna, piuttosto che inneggiare ad una pericolosissima “unione fiscale”, riconsiderare in prospettiva i principi stessi su cui si sono fondati a suo tempo i trattati dell’Unione Europea da Maastricht a Lisbona. Bisogna pure che qualcuno abbia il coraggio di dichiararlo. Non per disfare l’Europa, ma per ricostituirla su basi più ragionevoli e più solide.
Se è vero che l’ordinamento planetario dei mercati mette in pericolo i fondamenti della democrazia, allora ne consegue che chiunque si ritenga democratico dovrebbe mettere al primo posto la preoccupazione di rivedere da cima a fondo quell’ordinamento.
Ed è qui che diventa cruciale la posizione del PD. Abbia almeno il coraggio di Hollande. Abbia la forza e la lucidità di riconoscere che le vere radici della crisi, al di là del malgoverno italiano, vanno ricercate in quel che è accaduto a livello planetario e nelle proiezioni a livello europeo dell’indirizzo politico illiberale e antidemocratico che ha spadroneggiato nell’ultimo ventennio. Non c’è bisogno di alcuna conversione: si tratta solo di essere fedeli ai principi dichiarati a parole e troppo spesso calpestati nei fatti. Senza un simile aggiustamento di rotta da parte del Partito Democratico, sarà molto difficile impostare a livello europeo le condizioni perché venga maturando quel tramonto definitivo del neoliberismo che è ormai nella natura delle cose.
Quanto a Vendola, il suo discorso è solo un punto di partenza, quale sarà la strada resta ancora tutto da vedere. La sue ultime parole sono state: “La nostra identità è il viaggio”. C’è da evitare di viaggiare a vuoto. Ma intanto c’è un punto di partenza, una buona partenza, tutto sommato, che non ha nulla di estremista o biecamente sovversivo e che fissa almeno alcuni punti fermi.
Fra questi è rimasto forse troppo implicito il concetto che dobbiamo smetterla di additare nel fantasma del “capitalismo” il responsabile di tutti i nostri mali. Il neoliberismo non è affatto la forma necessaria del capitalismo: è una sua spaventosa degenerazione, che sta rischiando di portare il mondo intero alla rovina. Ed è questa degenerazione che dobbiamo combattere, individuando con cura che cosa c’è da correggere, che cosa dobbiamo sopprimere e che cosa dobbiamo coltivare e incoraggiare. L’impresa non è facile. Non è facile, per esempio, dare un giudizio equo sull’operato del governo Monti, un governo che sebbene nato, come scrissi allora, sotto cattiva stella, ha fatto poi alcune scelte apprezzabili accanto ad altre molto discutibili.
Mi sarebbe piaciuto se Vendola, accanto alle critiche che ha mosso, avesse indicato le due cose fondamentali, e tutt’altro che scontate, che Monti ha fatto di positivo: quando ha fermamente dichiarato chiuso il capitolo delle misure di austerità e quando ha indicato nella discesa dei tassi la vera soluzione della crisi. Sono due passi nella direzione giusta, e due passi non da poco: sarebbe stato giusto riconoscerli.
Del tutto ragionevole, per contro, mi è parsa la posizione presa nei confronti del PD. Vendola ha detto in sostanza: la mia collocazione naturale è in un’alleanza con questo partito e con tutto ciò che esso rappresenta. Nonostante le differenze che ci sono, questa alleanza è possibile, logica e vincente. Ma se voi volete fare un mascherato centro-destra, se volete un improbabile “partito neoliberista di massa”, allora io non sarò dei vostri, allora lavorerò alla costruzione di un nuovo polo di centro-sinistra. La posizione è onesta e chiara.
E’ il PD che a questo punto deve scegliere. La possibile vittoria del centro-sinistra in Francia e in Germania apre in Europa prospettive nuove. E’ possibile che il grande attacco dei mercati al debito sovrano dell’Italia finisca per ritorcersi contro chi lo ha voluto, spingendo l’Europa ad una riconsiderazione complessiva dell’assetto finanziario globale e dei fondamenti delle sue politiche. Ma se i democratici italiani resteranno ancorati al conformismo senza grazia e senza fantasia che troppo spesso li ha segnati nel passato, le speranze di uscire dal buio ne saranno seriamente compromesse.


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