domenica 16 settembre 2012

L’11 settembre del 2012

Una schiera di musulmani fanatici che vedono nella violenza la via maestra per imporre la propria idea della giustizia assalta il consolato americano a Bengasi e causa la morte dell’ambasciatore  Usa in Libia, proprio quel Chris Stevens che a Bengasi aveva personalmente guidato il sostegno americano alla rivolta di cui quei fanatici erano una componente cruciale, armandoli con quelle stesse armi che adesso hanno rivolto contro di lui.
Il concetto che “il nemico del mio nemico è mio amico” è stato da lungo tempo uno dei pilastri dell’azione geopolitica americana. Non importa se quel nemico del nemico è comunista, jihadista, fascista o sanguinario: intanto lo usiamo, poi semmai lo faremo fuori quando occorre. E’ una politica che ha causato disastri innumerevoli, ma si continua ostinatamente a perseguirla con una cecità che confina con l’inesplicabile.
Si direbbe che l’establishment americano proprio non riesca a fare a meno di ripetere eternamente gli stessi e medesimi errori. Qual è stata la reazione di Obama ai fatti di Bengasi? Mandiamo duecento marines. Mandiamo due navi da guerra. Faremo giustizia! I colpevoli saranno puniti.
Si continua a illudersi di poter risolvere qualsiasi problema ricorrendo alla forza: la violenza come via maestra per imporre la propria idea di giustizia. Infischiandosene del diritto internazionale, della “sovranità” del governo libico, dei principi di legalità su cui si fonda il liberalismo occidentale, si minaccia la “giustizia” senza processo e senza legge che ha soppresso Bin Laden e Gheddafi, senza capire che dei colpevoli che sono prontissimi a dare la vita per la causa in cui credono non possono che farsi un baffo di quelle minacce, senza vedere che questi comportamenti non fanno che moltiplicare le schiere dei giovani musulmani accecati dall’odio pronti a vedere nella violenza la via maestra per imporre la propria idea della giustizia.
Obama e Hillary ripetono ostinatamente gli stessi errori dei loro predecessori e dei loro avversari. Noi ci auguriamo comunque che Obama vinca le prossime elezioni, perché l’alternativa non sarebbe uguale, ma ben peggiore. Ma ci auguriamo soprattutto che venga presto il giorno in cui l’America si ravveda e cambi strada.

Post scriptum (16 settembre).
Poco dopo aver pubblicato questo post, ho trovato per caso un commento di Carlo Gambescia sulla reazione di Obama ai fatti di Bengasi. Ecco la risposta che gli ho inviato:
Caro Gambescia, complimenti innanzitutto per il suo pregevole blog, che ho appena scoperto. Dunque non conosco il suo pensiero. Vedo che lei commenta un fatto che ho appena commentato nel mio, giungendo a conclusioni apparentemente opposte. Non mi è chiaro se la sua argomentazione sia ironica e strumentale ad un'implicita condanna dell'operato di Obama, o meno. Lei giustifica (o finge di giustificare) il presidente con una classica argomentazione del cosiddetto "realismo" politico, secondo cui la politica non può che dipendere "dai puri e semplici rapporti di forza". E' una concezione che io ritengo del tutto irrealistica e aborrisco profondamente, poiché non fa che giustificare il sopruso del potere, ossia proprio quello contro cui il liberalismo classico, che era profondamente rivoluzionario, levò la sua bandiera. Le sai grato se potesse chiarire il suo pensiero.


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