venerdì 30 agosto 2013

Westminster boccia l’intervento in Siria e dà ascolto alla lezione della storia.



Alleluia! Finalmente una buona notizia. La bocciatura dell’intervento britannico in Siria da parte del parlamento di Westminster rappresenta con ogni verosimiglianza una svolta storica, destinata ad avere ripercussioni di lunga gittata.
Per la prima volta da decenni, assistiamo alla dissociazione del più fidato alleato dalla politica estera americana in merito ad una decisione cruciale come questa.
Per la prima volta da chissà quanto tempo, vediamo un governo europeo bocciato sulla proposta di un atto di guerra dal parlamento stesso che lo sostiene .
Per la prima volta dalla fine della guerra fredda vediamo un grande paese d’Europa, la sua opinione pubblica, il suo parlamento sovrano, dimostrarsi capace di imparare quella lezione che tutte le catastrofiche conseguenze dell'ossessivo ricorso alla violenza praticato e teorizzato dall’Occidente in questi anni avrebbero dovuto insegnare da tempo ai popoli e ai potenti.
Il voto del parlamento britannico è stato un fulmine a ciel sereno, per il suo risultato e per la sua nettezza. Cameron aveva tentato di annacquare la sua mozione accogliendo la proposta laburista di rinviare il voto sull’intervento vero e proprio a dopo il rapporto degli osservatori Onu, proponendo, nella certezza che fosse approvata, solo una generica dichiarazione di principio sulla necessità di una reazione internazionale che non escludesse l’uso della forza.
Ma anche questa debole formulazione è stata nettamente bocciata, con 285 voti a 272. Il parlamento non ha atteso il “rapporto d’intelligence” promesso per oggi dall’amministrazione americana e i suoi ormai prevedibili farfugliamenti, non ha atteso nemmeno quello degli osservatori Onu, e ha messo una pietra tombale su ogni ipotesi d’iniziativa armata. Cameron, molto correttamente, ne ha preso atto senza mezzi termini: “Mi appare chiaro che il Parlamento britannico, riflettendo la visione del popolo britannico, non vuole vedere un’azione militare britannica. Ne prendo atto, e il governo agirà di conseguenza”.
In barba a tutti i tentativi di minimizzazione già dispiegati sul fronte americano, la batosta per Obama è formidabile. Come lo è per Hollande, che incredibilmente si è dichiarato pronto a lanciare l’attacco ancor prima del voto in materia del parlamento francese: sarà molto difficile che lo faccia davvero. Così come diventa estremamente improbabile, a questo punto, un ripensamento del governo tedesco e di quello italiano sulla loro linea di dissociazione.
E quel che è ancora più confortante è il fatto che questo voto segna, fra le altre cose, il definitivo consolidamento del giudizio storico sul delirante intervento in Iraq del 2003. Il richiamo a quell’errore colossale è stato la nota dominante dell’ampio e civilissimo dibattito che ha preceduto il voto.  E’ illuminante a questo proposito la dichiarazione al New York Times di un anonimo parlamentare conservatore: “Il primo ministro sapeva che il pozzo era stato avvelenato dall’Iraq, ma non credo che avesse chiaro fino a che punto.”
Forse non è vero che “la storia non è maestra di nulla che ci riguardi”. Forse a volte le sue lezioni sono troppo tonanti per restare troppo a lungo inascoltate.
Sarebbe bene che tutti i devoti del demone della guerra che allora come sempre irrisero all’indignazione, all’angoscia e al dolore dei milioni che aspirano alla pace, meditassero una buona volta sui loro sbagli.


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