lunedì 7 aprile 2014

Ottusi e confusi: la reazione furiosa all’appello dei professori e al sogno che incombeva tempo fa.

L’appello di Zagrebelski, Rodotà, Dalla Chiesa e tanti altri contro le riforme costituzionali di Renzi e Berlusconi ha ricevuto questa volta una reazione furiosa che non si era mai vista in casi simili
Le risposte dirette di Renzi ed Elena Boschi sono state sprezzanti. Gli opinionisti allineati si sono scatenati. Su una radio della Rai ho sentito una trasmissione che dedicava una ventina di minuti a queste reazioni indignate, senza una sola parola a favore dei “professori” imputati.
Il colpo finale di questa campagna dall’aria molto orchestrata è venuto da Giovanni Belardelli (scusate, ma non so chi sia costui-- un’ignoranza alleviata dal fatto che dev’essere certamente reciproca...) sulla prima pagina del Corriere della Sera di ieri. E’ un pezzo che definirei delirante (eccolo riprodotto qui).
Per Belardelli, tipi come Rodotà, Zagrebelski, Sandra Bonsanti, Beppe Grillo, Pancho Pardi, Barbara Spinelli, Ferdinando Imposimato e Fiorella Mannoia sono, tutti insieme, eredi diretti delle correnti “intransigenti”, “massimaliste” e “rivoluzionarie” della antica sinistra italiana. Per questo illuminato opinionista, il problema della sinistra italiana sarebbe stato da anni l’incapacità delle correnti “riformiste” di “individuare negli intransigenti il proprio avversario”. Adesso finalmente Renzi ha avuto questo coraggio, lode a lui.
Evidentemente Belardelli non si è mai accorto di quanto abbiano fatto D’Alema, Veltroni, Violante e tutta quella bella compagnia per avversare ed emarginare tutto quello che i firmatari di questo appello rappresentano e per accreditare invece Berlusconi come valido interlocutore di qualsiasi riforma istituzionale.
Evidentemente Belardelli non si accorge di quanto siano lontane le posizioni di Renzi-e-D’Alema-insieme dal riformismo di gente come Nenni, o Bobbio, o Calamandrei, né quanto distino i pensieri di Bonsanti-e-Grillo-insieme da quelli di Togliatti o di Bordiga. Barbara Spinelli, che sedette con Prodi al gruppo Bilderberg, per lui è una tenebrosa estremista erede chissà se di Trotsky o di Bakunin. Per lui, Berlinguer non fu un riformista, ed è ora di dirlo a chiare lettere. Il vero riformismo, a quanto pare, è quello di Berlusconi, e tutti quelli che si rifiutano di riconoscerlo sono allo stesso tempo “conservatori” e “rivoluzionari”.
Dico che tutto questo è delirante, perché stravolge i fatti in modo davvero grottesco. Coloro che avversano i progetti di rafforzamento dell’esecutivo sono proprio gli eredi della sinistra democratica, ragionevole, posata e intelligente che ebbe in Calamandrei e nei fratelli Rosselli alcuni dei suoi esponenti più nobili. Mentre il preteso “riformismo” di quanti vogliono l’uomo solo al comando e il governo onnipotente è invece qualcosa di reazionario nel senso più proprio della parola. Questa propensione per la concentrazione del potere non è un dettaglio tecnico, non è una questione di efficienza o di efficacia. E’ una svolta che ha qualcosa di epocale. I reazionari d’antan reagivano contro il modello fraterno del potere immaginato dall’illuminismo in favore del modello paterno delle monarchie assolute, sottraendovi il mandato del Cielo. Così questi piccoli eredi di Talleyrand reagiscono contro il modello fraterno della Costituzione repubblicana in favore di un modello paterno che, sottratto per forza di cose il totalitarismo, echeggia pericolosamente il fascismo che i padri costituenti aborrivano.
Belardelli chiama “riformismo” questa forma di parodistica reazione e confonde con Stalin e Beria gli eredi del riformismo più illuminato. La sua analisi non potrebbe essere più ottusa e confusa.
Tanto più che, nella sua furia reazionaria, il baldanzoso fustigatore dell’intelligenza trascura di ricorrere all’unico argomento sensato che avrebbe potuto sollevare contro questo appello.
Avrebbe potuto osservare che l’appello attribuiva alle riforme di Renzi l’intento di “creare un sistema autoritario che dà al presidente del consiglio poteri padronali”, cosa che non è presente per nulla negli attuali progetti di riforma costituzionale, che riguardano il Senato e il Titolo V. Matteo Renzi ha chiaramente dichiarato che il rafforzamento dei poteri del premier non era nell’accordo del Nazareno e non è nel disegno di legge costituzionale del governo.
Se Belardelli si guarda bene dal sollevare questa obiezione, forse questo è un segno che quell’intento non è del tutto estraneo ai propositi di Renzi e degli opinionisti allineati, come certamente non lo è stato ai propositi di Berlusconi. Tuttavia è un dato di fatto che, nel disegno di legge costituzionale attualmente sul tappeto, un simile proposito non c’è.
Forse si può argomentare che l’abolizione del Senato e delle province vada anche in quella direzione, ma è un’argomentazione piuttosto avventurosa, che è appena timidamente abbozzata nel testo dell’appello. La mia impressione è che Renzi sia troppo furbo per proporre in questa fase quei “poteri padronali” del premier che sicuramente non gli dispiacciono. Sa benissimo che il rafforzamento dell’esecutivo non è apprezzato dalla maggioranza della sinistra e da almeno la metà degli italiani, mentre l’abolizione del Senato e delle province può riscuotere molto più consenso. Pertanto non si gioca il suo futuro in una partita incerta. Semmai aspetta di veder consolidato il suo potere. Per questo, forse, non era il caso di gridare al lupo quando il lupo non è ancora arrivato. La ristrutturazione del senato e delle province non avrebbe in sé nulla di particolarmente temibile al di là del fatto che, così com’è, appare piuttosto sgangherata. Tutt’altro che decisive, come Renzi vorrebbe far credere, queste riforme sono invece piuttosto insignificanti.
Il problema è che sono ambigue: non si capisce in quale progetto di futuro costituzionale del paese siano iscritte. A questo punto della nostra storia, siamo davanti ad un bivio: si tratta di decidere se andiamo incontro ad una concentrazione del potere di comando nelle mani di chiunque sia riuscito a impadronirsi del governo, magari attraverso la manipolazione dell’informazione, della televisione o del sistema elettorale; o se invece vogliamo temperare la forza del potere col confronto delle opinioni, il consenso col dissenso, la potenza di chi comanda con la voce di chi non ha voce. Come è nello spirito della democrazia costituzionale.
C’è bisogno di sciogliere questo nodo: e Renzi, per il momento, non lo scioglie. Il lupo per adesso non è in vista, ma è certamente in agguato. Se dovesse tornare all’attacco, di sicuro saremo al fianco di Fiorella Mannoia, di Nando Dalla Chiesa, Pancho Pardi, Barbara Spinelli e perfino di Beppe Grillo a difendere il sogno che ispirò i costituenti repubblicani.
Anzi no, scusate, mi correggo. Quello non fu un sogno che ispirava i costituenti: fu un sogno che incombeva su di loro.


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